Ancora qualche considerazione sul welfare aziendale e la sua difficile diffusione nelle PMI
Ancora qualche considerazione sul welfare aziendale e la sua difficile diffusione nelle PMI
La mancanza di informazione e di una cultura del welfare impedisce la creazione di appositi piani aziendali, a scapito della competitività e del benessere dei dipendenti
Nel contatto quotidiano con le aziende è facile constatare la mancanza basilare di informazione da parte loro sulle possibilità offerte dal sistema del welfare aziendale così come promosso dalla legge finanziaria del 2015 ed incrementato da quelle successive. La legge di Stabilità 2016, infatti, ha apportato novità importanti nella materia con una serie di disposizioni che ampliano il panorama dei benefit erogabili per facilitare la diffusione del sistema di welfare attraverso beni e servizi detassati; con la legge di bilancio 2017 l’incentivo fiscale per l’incremento della produttività aziendale ha introdotto importi più elevati rispetto al passato.
Tuttavia, alla mancanza di informazione si somma poi la carenza di una cultura aziendale nella materia che invece permetterebbe alle imprese di avere benefici diretti in termini di miglioramento dei parametri di produttività e di competitività mentre ai lavoratori un miglioramento del loro benessere generale. E’ ormai noto come il welfare aziendale sia un fattore determinante per la valorizzazione del capitale umano. Una recente indagine condotta sul benessere e la motivazione dei lavoratori mostra che il cambiamento dei bisogni si realizza su due punti: maggiore potere d’acquisto e più servizi alla persona e alla famiglia. E la risposta a questi bisogni va trovata proprio nel welfare aziendale, che permette un risparmio, rispetto ad una erogazione in denaro (con un costo ben maggiore), sia all’azienda sia al lavoratore.
E’ un dato acquisito che la mancanza di informazione sul tema del welfare aziendale si riscontra prevalentemente nelle PMI, nelle quali – a differenza delle aziende di dimensioni più grandi, dove è presente una più evoluta concezione dei benefit, grazie anche alla presenza di una struttura dedicata alla gestione e sviluppo delle risorse umane – le condizioni per lo sviluppo di un welfare aziendale sono senza dubbio più complesse.
Se è vero che la crescita del welfare aziendale nasce in conseguenza della crisi del welfare state, perché non più in grado da solo di garantire la richiesta di prestazioni sociali, è anche vero che il coinvolgimento del privato (datore di lavoro) nelle piccole e medie imprese lo ha trovato impreparato perché non adeguatamente informato, così da rallentarne la sua diffusione. Sfugge, infatti, al datore di lavoro l’utilità che può derivare dal sistema di welfare, inteso come lo strumento con il quale l’azienda realizza “una più efficace strategia di motivazione dei dipendenti a fronte di una retribuzione non monetaria ma nei tipici servizi del welfare aziendale con forme di sostegno alla genitorialità, al reddito familiare, allo studio, alla salute, al tempo libero, oltre ad agevolazioni varie di tipo commerciale” (Filippo Di Nardo, “E’ cambiato il patto sul lavoro: dallo scambio lavoro-retribuzione allo scambio lavoro-benessere”), con tutti i vantaggi fiscali collegati sia per l’azienda (che risparmia sul costo del lavoro) sia per il lavoratore (che riceve somme al netto).
L’obiettivo deve essere quindi quello del coinvolgimento e della diffusione presso le PMI, che rappresentano oltre il 94% del sistema produttivo italiano, del sistema welfare. Questo obiettivo potrà essere positivamente perseguito se si accresce innanzitutto la cultura del welfare aziendale presso le stesse PMI, per favorire poi la costruzione di piani di welfare aziendale, anche con l’utilizzo di forme di aggregazione, come le reti di impresa, per accedere in modo più facile e meno oneroso a network di servizi.
Certamente, perché la cultura del welfare aziendale possa diffondersi presso le PMI occorre anche un più facile accesso ai servizi di welfare, ad esempio attraverso una gestione più snella che la renda economicamente più fruibile o con la creazione di una aggregazione a livello territoriale che utilizzi questi servizi. E proprio il tessuto locale, magari per il tramite delle associazioni di categoria, dovrebbe favorire la crescita e la diffusione di questa cultura, che avrebbe ricadute positive sull’intero territorio con la fruizione di servizi.
Avv. Giiuseppe Maria Giovanelli
gmg@studiogiovanelli.org
www.studiogiovanelli.org